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Nel processo per disastro ambientale all’interno dell’ex facoltà di Catania oggi ha sostenuto la discussione il legale di molte delle presunte vittime del cosiddetto laboratorio dei veleni, Santi Terranova. Il processo prosegue, ma nonostante la gravità di quanto accaduto a difendere il buon nome dell'università ci pensano giornali importanti come La Sicilia. Bisognerebbe però chiedersi quanto siano importanti, autorevoli, o quanto in realtà siano marci.

Cosa succede quando ad uccidere sono le istituzioni? Quando i figli a casa non tornano perchè un signore in giacca e cravatta che magari tutti rispettano l'ha uccisa? Come si fa a rimanere lucidi quando la stampa, in questo caso La Sicilia, resta zitta di fronte all'incredibile?

lasicilia

 Per arrivare ai fatti odierni dobbiamo riprendere un pò tutta la storia per ricordare quello che è successo. Anche se in verità questa è una storia che in Sicilia troppo spesso si ripete, anche se sempre diversa ma in fondo sempre uguale, attraverso " forme " diverse che finiscono per convergere nello stesso orrore.

Parliamo della facoltà di Farmacia dell'università di Catania ovviamente e di tutti quei ragazzi morti svolgendo il proprio lavoro, i propri studi, a causa dell'incuria e del disprezzo per la vita che questa università ha dimostrato di avere nei confronti di tutti.

Parliamo del complice silenzio che giornali come "La Sicilia" che dovrebbero forse essere un pò meno comprati una volta che li conosciamo meglio dalla gente, del silenzio di giornali simili hanno riservato a queste vittime.

La lettera che riprendiamo e che scriviamo sotto è quella che la professoressa Maria Lopez, mamma della giovane Agata Annino, prima vittima inconsapevole, scrive al direttore del giornale La Sicilia, una lettera secondo noi bellissima che riproponiamo mentre in questi giorni si svolge il processo di cui tanto si è parlato e la lista delle giovani vittime si allunga.

 

LETTERA

 Egregio Direttore,

Sono la mamma della Dr.ssa Agata Annino, la capolista di quella serie di nomi di persone che hanno lavorato all’interno della Facoltà di Farmacia dell’Università di Catania ed hanno accusato patologie tumorali o sono decedute a causa di dette patologie, come è il caso della mia Agata che proprio all’inizio di questo mese di Giugno, esattamente il 3, ha compiuto sei anni dalla sua morte.

Perché le scrivo?
La mia se vogliamo è una lettera di sfogo perché sono otto anni, sei dalla sua morte e due di malattia, che piango in silenzio e cerco di sopravvivere, e con me i miei familiari, all’immane dolore che la perdita di una figlia, o di una sorella, comporta. Una figlia che tu stessa hai dovuto accompagnare ad affrontare in piena lucidità il trapasso quando era ancora nel pieno del suo vigore.
Agata aveva 30 anni quando abbiamo scoperto pochi giorni prima degli esami finali di dottorato (dopo un terribile mal di testa che non passava più) che aveva un tumore cerebrale di quelli che non perdonano. Era il 23 febbraio del 2003, ha festeggiato i suoi 30 anni dopo due interventi chirurgici il 2 maggio dello stesso anno. Costretta a saltare la sessione di esami del suo ciclo di dottorato, ha voluto poi caparbiamente sostenere gli esami finali l’anno successivo, interrompendo per pochi giorni le cure di radioterapia a cui era sottoposta a Milano.
Era una ragazza piena di vita, niente la stancava mai, amava il suo lavoro di ricerca in quel laboratorio che adesso io definisco maledetto ma che per qualche tempo non riuscivo ad odiare sia perché ricordavo con quanta passione, dedizione e allegria lei lo frequentava e sia perché mi rifiutavo di credere che potesse essere vero quello che, dopo la morte di mia figlia, si andava dicendo sull’incuria e sulla leggerezza con cui si gestivano e si smaltivano all’interno di quei laboratori prodotti chimici che invece necessitano della massima cura ed attenzione perché altamente nocivi alla salute.
Sono una persona dignitosa che ha svolto sempre il suo lavoro di docente in un Istituto Superiore di Catania ed ha sentito sempre la sua responsabilità nei confronti dei ragazzi che le famiglie affidano all’istituzione scolastica, ho vegliato sempre sulla loro incolumità, perché il diritto alla salute è un diritto primario ed inalienabile.
Per questo non volevo credere, mi veniva difficile pensare che un’Istituzione grande e rinomata come la nostra storica Università avesse potuto trascurare a tal punto la sicurezza di qui luoghi di lavoro a danno del proprio personale. Pensavo: “E’ l’ennesimo scandalo italiano, i giornalisti sono sempre alla ricerca della notizia che fa scalpore!” Lentamente io, mio marito, gli altri due figli abbiamo voluto dare una ragione logica alla morte di Agata: purtroppo la morte, le malattie nella vita di ognuno sono sempre in agguato e ci possono cogliere in qualsiasi momento anche a 32 anni, nel pieno vigore degli anni.
Stavamo così trovando un po’ di equilibrio per continuare a vivere quando è scoppiato lo scandalo della chiusura dei locali della Facoltà di Farmacia, e allora per noi tutto si è messo di nuovo in discussione: si può accettare in silenzio la morte di tua figlia, quando un tarlo ti rode il cervello dicendoti che forse te l’hanno ammazzata, quella figlia? No, non si può!

Egregio Direttore, torno al motivo di questa mia lettera. E’ fortemente doloroso rendersi conto che in fondo nel nostro mondo, nella nostra società, qui nella nostra città non si vuole che le cose cambino perché altrimenti una vicenda come questa troverebbe il giusto spazio nei mezzi d’informazione e quindi anche nel suo giornale, se solo si avesse a cuore il bene della nostra terra e dei suoi amati figli, nobili e generosi come i nostri ragazzi che con il Dottorato di Ricerca si sono giocati la vita.
Lei sa, perché ha pubblicato la notizia qualche tempo fa, che l’indagine probatoria si è chiusa e che giorno 8 Luglio ci sarà l’udienza preliminare per il rinvio a giudizio di 13 responsabili all’interno dell’Ateneo catanese per i reati di disastro ambientale, violazione delle norme di sicurezza, falso.

Come mai tanto silenzio da parte vostra e di altra stampa ad una notizia così clamorosa? Vogliamo ancora salvare il “buon nome” della nostra Università, come hanno sempre fatto i signori di là dentro? Svegliamoci, il “buon nome” si salva con un lavoro onesto, dignitoso e rispettoso della legalità.
La ringrazio per la pazienza ed il tempo che mi ha dedicato, nell’attesa di leggera la mia lettera sul suo giornale e possibilmente di tanto in tanto qualche articolo per ricordare ai catanesi, e non solo, che chi gioca con la vita delle persone non può e non deve sperare di uscirne indenne.
Noi eravamo una famiglia felice dei nostri tre figli, due laureate, il terzo si avviava alla laurea, sognavano un futuro sereno e invece per noi non c’è più cosa o avvenimento che ci possa dare mai una gioia piena.
Catania, 21 giugno 2011
Cordiali saluti e di nuovo grazie
Prof.ssa Maria Lopes, la mamma di Agata

 

Il processo va avanti, quello che esce fuori come dice l'avvocato Santi Terranova sono: " 45 anni di sciatteria, menefreghismo, dabbenaggine ".

processo farmacia

 

Sul procedimento in corso l'avvocato Terranova afferma: «il nostro compito è stato relegato a quello di semplici spettatori», prosegue Terranova. Per le parti civili, senza dubbio, il colpo più duro da assorbire è stata la decisione del procuratore Lucio Setola – fino a settembre titolare del caso, sostituito nella fase finale da Giuseppe Sturiale – di circoscrivere il periodo del processo nel periodo compreso tra il 2004 e il 2007, lasciando fuori dal procedimento i familiari di Emanuele Patanè, «colui il quale ha dato l’inizio a tutto». Il dottorando, morto nel dicembre 2003, ha lasciato un memoriale nel quale descrive lo stato dei luoghi, le prassi, la cattiva conservazione delle sostanze, le irregolarità procedurali.


Non vogliamo in questo articolo entrare nel merito delle vicende processuali, ma porre l'attenzione sul perchè media locali come il giornale La Sicilia abbiamo scelto la via del silenzio su fatti così gravi aprendo un inquietante interrogativo sulla qualità dell'informazione nella nostra isola.